Presentazione di Giuseppe D’Acunto e Aldo Meccariello
Il presente numero de «Il Contributo» è monografico: raccoglie infatti gli atti delle due giornate vichiane che si sono svolte il 14 e il 15 dicembre 2022 presso l’Accademia Vivarium novum di Villa Falconieri in Frascati. Le giornate di studio sono state organizzate dal Centro per la filosofia italiana in collaborazione con l’Accademia Vivarium novum, con l’Università degli studi di Napoli “Federico II”, con l’Università di Roma “La Sapienza” e il Dipartimento di scienze umane dell’Università degli studi “Guglielmo Marconi”. La finalità di questo convegno sul grande filosofo napoletano è nata dall’urgenza di una rivisitazione del pensiero italiano, alla luce dei nuovi paradigmi interpretativi, che da Dante arriva fino a Vico e oltre, attraverso un filo conduttore che ha nell’impegno civile la sua cifra più caratteristica. L’interesse per la politica e per la storia trova ulteriore conferma nella figura di Giambattista Vico la cui opera non ebbe risonanza immediata tra i suoi contemporanei, e solo il XIX secolo cominciò a tributargli la giusta collocazione tra i grandi della filosofia italiana ed europea. Lo storico francese Paul Hazard nel suo libro più importante, La crisi della coscienza europea, scriveva: «Povero grande Vico! Non fu compreso; era appena ascoltato; le sue idee erano troppo nuove, troppo diverse da quelle acclamate dai contemporanei. […] Vico, invece, si spingeva sin nel profondo degli abissi millenari, per scoprire a un tempo la storia della nostra evoluzione e le forme ideali del nostro spirito». La specificità della filosofia vichiana riassunta in maniera esemplare in queste parole non solo irrobustisce e integra il discorso filosofico della modernità, ma costituisce una delle più spettacolari esplorazioni filosofico-antropologiche della genesi della civiltà. Nell’epoca della Controriforma, il pensatore napoletano, in condizioni di acuto disagio esistenziale, non compreso, appena ascoltato, lavora ad un’opera poderosa, La scienza nuova, che, nelle sue tre edizioni (1725, 1730, 1744), assembla un’enorme mole di sapere senza che appaia visibile la chiave del codice che la tiene insieme. Antropologo delle origini, storico delle idee, discendente dell’Umanesimo e del Rinascimento, Vico sviluppa una ricerca ideale intorno alla nostra mente, la quale è in tutte le sue facoltà, in quelle intellettuali come in quelle sensibili, forza attiva e produttiva, sia che crei immagini e metafore, sia che inventi metodi di pensiero. Senza dubbio alcuno, l’ingenium, che è la linfa vitale che genera e rigenera la struttura interna della filosofia vichiana in quel collegare cose procedenti in direzioni diverse, in quell’unire la ragione e le facoltà dello spirito, costituisce il filo conduttore che lega i vari saggi pur nella diversità delle varie tematiche e dei vari contesti di questo numero monografico che presentiamo ai lettori. Da tempo è in atto un rinnovamento degli studi vichiani che mira a dare visibilità alla ricchezza delle sfaccettature di un’opera complessa e multipolare che non sempre si lascia afferrare nei suoi nuclei più interni visto che il suo procedimento topico rende più difficile l’accesso al pensiero critico e razionale. Alcuni saggi attraversano con grande acume critico i testi, il De nostri temporis studiorum ratione, il De mente heroica, il De uno, la Scienza nuova, altri saggi sviluppano una metodologia di confronto con pensatori coevi e contemporanei (Gravina, Cuoco, Leopardi, i filosofi neoidealisti inglesi, Croce, Gentile e Isaiah Berlin) a riprova della grandezza di Vico, pensatore originalissimo e penetrante sismografo della civiltà e della cultura europea. Già nella prolusione universitaria Il metodo degli studi del nostro tempo, Vico ricorda come molte discipline, disgiunte dai moderni, per gli antichi erano invece senza alcuna difficoltà congiunte. La sua metafisica, il suo pensiero, il suo metodo risanano questa frattura. Lo studio dei movimenti storici non solo non può essere disgiunto dagli strumenti della filologia (etimologia, linguistica, cronologia), del mito e della poesia, ma va strettamente correlato alle strutture ideali della mente umana. Essa non è, infatti, una scienza delle essenze, o una determinazione concettuale a priori dell’esperienza umana, bensì una sorta di discesa nella mente e nei suoi recessi, una attività riflessiva che «va a prendere le sue pruove non già da fuori ma da dentro le modificazioni della propria mente di chi la medita, dentro le quali, […] perché questo mondo di nazioni egli certamente è stato fatto dagli uomini, se ne dovevan andar a truovar i princìpi».
La mente, come emerge dalle pagine della Scienza nuova, è l’archivio in cui è nascosta la vicenda evolutiva e storica dell’uomo. Vico elabora un sapere che difficilmente si lascia ricondurre a coordinate logico-dimostrative, ma che anzi dispiega la sua potenzialità e la sua influenza per mezzo di strumenti polisemici e plurivoci che costituiscono l’accesso ad un nuovo discorso sul metodo. Solo così possiamo capire come si studiano le civiltà e le sue origini, come si accede alla filosofia che non può prescindere dalla filologia, come si può afferrare il corso della storia umana che è un lento e graduale processo di incivilimento delle genti; solo così possiamo vedere cose, eventi, problemi con uno sguardo nuovo mescolando materiali disparati (miti, lingue, teoria dei cicli, storia romana, testi biblici ecc.) e gettando luce sul reale e sull’umano. Ha scritto Ernesto Grassi: «Il carattere epocale della tesi fondamentale di Vico è che la metafisica non deve partire né da principi razionali né dal problema degli enti ma dalla parola che svela la storicità umana. La sua opera è una vera fenomenologia, una descrizione di come poco a poco appaia (phainesthai) il reale umano». I saggi che offriamo al lettore, sia pur da angolature differenti, si muovono lungo queste direttrici provando a far emergere le originarie intenzioni metodologiche e speculative del filosofo napoletano, finalizzate alla valorizzazione di tutto ciò che può dirsi umano.